giovedì 20 maggio 2010

Scusa zia Angela, cosa hai messo nella Borsa?


C'erano infiniti modi perché la cancelliera tedesca esponesse il suo pensiero sull'euro senza massacrarlo.
Infiniti modi per evitare di svuotare la Borsa...
Ma Angela Merkel ha scelto il peggiore: gelidamente teutonico e terrorizzante come l'acciaio di un panzer.
Dire che "l'euro è a rischio" risponde a una strategia della tensione che la cancelliera si poteva risparmiare, tutto questo se la guardiamo da euroalleati.
In verità, se la guardiamo da tedeschi, l'uscita isterica della Merkel è perfettamente comprensibile, anzi completa lo scenario di presunzione e arroganza che sta rendendo la Germania più che una cugina, una zia molto antipatica e taccagna.
In un'Europa con un'identità politica concreta (e con leggi da rispettare) la Merkel andrebbe processata - e condannata - immediatamente per turbativa dei mercati e procurato allarme. Di certo ha dimostrato una pericolosa ignoranza a poche ore dai suoi attacchi contro gli speculatori: non si è resa conto che proprio le sue parole sono il terreno più fertile per loro.
Ed è bene che non se ne sia resa conto, perché altrimenti sarebbe anche insider trading...
Il fatto che sia anche stato annunciato il blocco delle vendite allo scoperto, senza alcuna concertazione con gli alleati, fa assumere alla storia un contorno di superbia che poco si sposa con l'europeismo. Forse, lo sotterra.
Se poi qualcuno avesse voglia di fare un passo in più, e chiedersi perché mai la Germania era così infervorata con il supereuro e adesso è così bastardamente impanicata per il minieuro, sappia tre cose.
1) La Germania vende la maggior parte dei suoi prodotti all'interno dell'area euro (tanto per dire, due auto su tre sono tetesche di cermania).
2) Per questo gode un sacco a incassare euro e cambiarli in dollari (e tanti più dollari, quanto più l'euro è forte) con cui paga le sue "bollette" (pere sempio petrolifere) a sconto.
3) E' ugualmente ipotizzabile che utilizzando la valuta forte si diverta in giro per il mondo a fare operazioni in valuta (carry trade) incassando la differenza.
Detto questo, appare chiaro che la possibilità di un euro debole utile a rinvigorire le esportazioni nostre e dei francesi è vista dalla Merkel e da molte teste di crauto come un dettaglio inutile.
E poi: avete presente che cosa esportiamo noi e i francesi? Tra l'altro, anche cose effimere, sicuramente belle, ma che se ne fanno i tedeschi delle nostre paillettes, loro gente abituata a ciabattare in birkenstock e a sorseggiare il cappuccino con l'amatriciana alle tre del pomeriggio davanti al Pantheon?
Aspettiamoci una bella copertina di Der Spiegel che ci illustri la mafia.
In Europa, però.

mercoledì 19 maggio 2010

'O famo strano? No, etico!


“Caccia a evasori e falsi invalidi”.
Oh, bene. C’è scritto sui giornali. Che sia la volta buona?
Il ministro Tremonti parla di una “manovra etica”. Piace, per carità. Fa immaginare scenari nuovi, più condivisi, fa quasi sperare in un mondo migliore: etico!
Noi, che nelle nostre avventure editoriali abbiamo sostituito il Pil (Prodotto Interno Lordo) con il Vil (Valore Interno Lordo) siamo felici.
Prendersela con gli evasori assicura simpatia, purché stavolta la soluzione non sia un condono.
Avremmo tutti voluto più etica prima, però. Quando serviva accorgersi che ci sono nazioni che truccano i conti tanto e male, altre che lo fanno poco e bene, altre ancora che lo fanno molto e benissimo.
Sarà molto etico che in futuro non abbiano più modo di farlo, ma soprattutto che sentano i morsi dello spirito e si convincano che farlo non si deve. Ci fidiamo?
Dovremmo poi fidarci – in ordine sparso - degli appaltatori, dei subappaltatori, degli appaltanti e dei subappaltanti.
Dei consulenti che consigliano eticamente, dei commercialisti che controllano eticamente, degli idraulici che fatturano eticamente e dei loro clienti eticamente pronti a pagare quel che c’è.
Sia chiaro che quel caro signore che vorrà pagarci la rata del mutuo senza dircelo (ma se siamo fortunati magari troviamo quello che ci paga anche la casa senza dircelo…) dovrà invece fare pubblica ed etica ammissione.
Eticamente ora staremo a vedere.
Probabilmente, sempre eticamente, siamo già preparati a pagare.
Perché, eticamente, sempre agli stessi tocca.
Poi, stavolta, se eticamente toccasse anche a quel bauscia brizzolato che ha il Cayenne, posteggia sull’area invalidi e non paga il ticket in farmacia, sarebbe mica male.
Ma fate presto: qualcuno andrà a dirgli che il bollino arancio con la carrozzina sul parabrezza attaccato accanto al pass del golf lo renderà un candidato certo al redditometro.
E chissene: lui è nullatenente. Anzi, tiene una prozia sciancata che accompagna sempre a fare la spesa in Montenapo.
Lui è a posto.
Forse, per un po’, smetterà solo di giocare a golf.
Eticamente.



PS: ma stavolta speriamo davvero che non finisca così…

Tranquilli, l'happy hour continuerà...


Ventisei miliardi novecentonovantatre milioni centonovantaseimila euro. Cioè 26.993.196.000 in cifre. E' questo l'importo probabile della manovra finanziaria di correzione prevista dal Governo. Come si nota, è inferiore ai 27 miliardi previsti in un primo momento grazie al provvidenziale taglio degli stipendi dei parlamentari, pari al 5%.
I parlamentari, infatti, sono 945; si ridurrebbero lo stipendio, 12mila euro, del 5%, quindi di 600 euro che moltiplicati per 12 mesi e per il loro numero dà l'importo "stratosferico" di poco meno di 7 milioni di euro (!).
Il ministro del'Economia Giulio Tremonti ha (onestamente) definito questa ipotesi solo "un aperitivo".
E, del resto, di fronte a numeri così "importanti" si può tranquillamente affermare che l'happy hour tra Montecitorio e Palazzo Madama continuerà.
(Basta il pensiero?)


PS: altra cosa sarebbe stata annunciare che la politica ridurrà del 5% i suoi costi. Tra auto blu, assistenti, portaborse, rimborsi, sottosegretari, massaggi, messaggi, indennità, consiglieri - regionali, provinciali, comunali - la politica costa direttamente alle nostre tasche 5 miliardi di euro. Ma è un conto contestabile: sono molti, molti di più.
Il 5% di questi costi varrebbe 250 milioni di euro. Sempre bruscolini, forse. Ma almeno presentabili (per esempio a chi legge i giornali da Mirafiori).

venerdì 14 maggio 2010

Robinùd, noi e gli "speculattori"


Parola di Russel Crowe (che lo interpreta al cinema): se esistesse oggi, Robin Hood se la prenderebbe con gli speculatori.
Bersaglio giusto e sacrosanto, che resta però ancora avvolto nel mistero del racconto multimediale (e, se volete, leggetevi che cosa ne pensiamo su un paio di post fa).
Tanto per fare un passo avanti, diciamo che il mondo - metaforicamente - non è mai stato così pieno di "speculattori", gente che fa comunque di tutto per farci vedere un film e farci pagare biglietti sempre più cari senza permetterci di interpretare nemmeno piccoli ruoli da comparse.
Ma non vi girano le frecce?
Noi, nel nostro piccolissimo, ci siamo sentiti gratificati dalle parole di Crowe. Pronti a scatenare l'inferno a un suo ordine (quando faceva il Gladiatore) siamo pronti adesso a tirare fuori l'arco e spararne qualcuna.
In verità, tentiamo di farlo (bene o male, non tocca a noi dirlo) da quando scriviamo su "Oggi", poi con Vaffanbanka! e Vaffankrisi! abbiamo migliorato la nostra presenza nella foresta di Sherwood.
Non rubiamo ai ricchi e non regaliamo ai poveri (se non qualche consiglio onesto e gratis), ma ci piace un sacco fare "Robinùd".
Però, quale sarebbe il reame da difendere?

Libero rating in libero stato


Ripensandoci: ma le polemiche a caldo sulle agenzie di rating, che anziché dare pagelle orientano il mercato, sono già finite?
Sfogliate i piani europei, i contropiani, i verbali, i comunicati e tutto quel cavolo che preferite, e vi accorgerete di una cosa: di agenzie di rating già non parla più nessuno.
Nessuno le mette all'ordine del giorno.
Nessuno si permette di criticarne, se non la qualità, almeno la quantità.
Pensateci: in un mondo economicamente depresso e finanziariamente psicotico (e sì che di lezioni dovremmo averne prese) la gestione dell'affidabilità di società e nazioni resta nelle loro mani.
Qui, Quo e Qua si sono salvati ancora.
E ci sarebbe da discutere un po' su Qua: più che tre agenzie sono due e mezza, visto che Fitch - per quanto si dimeni e alzi la voce - è considerata di un peso inferiore a Moody's e Standard & Poor's (nessuno lo dice mai con chiarezza, ma così è).
Per semplicità diciamo pure che sono tre, ma vi rendete conto: tre!
Alla faccia della democrazia e del liberismo ci sono in tutto il mondo tre e solo tre soggetti che possono permettersi di dare dell'inaffidabile a una nazione, spacciandola come spazzatura e carne morta.
Che sulla Grecia abbiano ragione non c'è dubbio, ma ce ne sono tanti di dubbi a proposito dell'intempestività con cui l'hanno fatto: se ne sono accorte solo adesso, dopo - più o meno - otto anni in cui i discendenti scapestrati di Platone truccavano i conti?
Scusate, ma allora bolliamole come "junk". Si abbia il coraggio di dire che le agenzie garantiscono risultati utili per un perito settore che si accinge a tagliare un cadavere, non di certo per curare un paziente e trovargli la giusta cura.
Proposta: liberalizziamole!
Si trovi il modo di farle crescere di numero, facciamo sì che fra un anno ci siano almeno venti agenzie di rating che possono giudicare l'onorabilità di un paese.
Facciamo sì, inoltre, che ce ne sia qualcuna europea, italiana francese tedesca. Massì, una cinese, una giapponese e - ci mancherebbe - una anche svizzera.
Insomma, non sappiamo a voi, ma a noi di essere giudicati solo con un metro americano non va più bene. Il sospetto che il mercato sia orientato a favore di Wall Street (tanto per dargli una faccia, ma non l'unica) è diventato quasi una certezza. Avete presente il cambio dell'euro adesso?
Ci vorrebbe proprio a' livella.

lunedì 10 maggio 2010

Alla faccia degli "speculatori"


Tutti tuonano contro gli speculatori.
Ma prendersela con loro non significa niente.
Ce li fanno immaginare con il cappuccio, mentre tramano in oscure stanze dei bottoni, in giro con valigette piene di denari, felici con un flute in mano nel fine settimana dopo il crollo di Wall Street, che presumibilmente festeggiano in compagnia della segretaria "taccododici" ormeggiati magari nei pressi di qualche (ora sfigata) caletta greca.
Ci siete cascati ancora, dite la verità.
Quando tra un talk e un tg avete sentito quella parola, "speculatori", avete fatto presto a odiarli, a maledirli, ma non siete riusciti a dar loro una faccia che non sia quella di qualche miliardario in gessato con il sigaro in bocca, sempre dura a morire nel nostro cinemascope collettivo tirato su a luoghi comuni.
Proviamo, invece, a dargli un volto a queste teste di gesso.
Un volto vero, di quelli che passano spesso al tiggì e che quasi ogni giorno troneggiano sulle prime pagine dei giornali del mondo che hanno fatto veramente di tutto (e di peggio) per impoverire.
Pensate a quelli che due anni fa, dopo Lehman, promettevano le regole.
A quelli che hanno preso bonus milionari nell'anno in cui i loro clienti hanno faticato a pagare la rata perché disoccupati.
Guardate la sfilza di quelli che entrano ed escono dai summit e ai quali tengono aperte le porte delle auto blindate e provate a fare un test: quanti di loro hanno verosimilmente migliorato la vostra vita, realizzato qualcosa di concreto per farvi sentire al sicuro?
No, loro non sono gli speculatori (non tutti almeno), ma è sulle loro azioni che gli speculatori hanno trovato il terreno fertile per fare quello che hanno fatto.
E' sulla loro incapacità di gestire la crisi che il grigio rubicondo in gessato coltiva i suoi affari.
Vedete di farci una pensata al prossimo telegiornale.

martedì 4 maggio 2010

L’Europa e i porci senza ali


“Ci sono altri paesi che, senza misure di aggiustamento, sono esposti a un rischio simile” a quello greco. Il monito arriva dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi che, nonostante si allinei all’abitudine diffusa di non fare mai nomi, rompe il silenzio con questa frase semplice, la cui forza sta esclusivamente nel prestigio istituzionale di chi la pronuncia.
Il succo, infatti, è noto anche all’ultimo dei mohicani: tutti sanno che dopo la Grecia potrebbe venire il Portogallo, dopo il Portogallo potrebbe venire la Spagna, dopo la Spagna potrebbe venire l’Irlanda e dopo la Spagna potrebbe venire l’Italia.
E’ la vecchia storiella dei porci senza ali, i “pigs” (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna), acronimo infamante dal quale siamo stati estromessi un po’ di tempo fa, aspetto che ci rende orgogliosi quanto avere piazzato un panino all’italiana nel menu di McDonald’s.
Non succederà niente, probabilmente.
Ma fa pensare e deve suscitare più di una preoccupazione che l’Europa unita ci abbia messo tre mesi per arrivare a una soluzione (buona o cattiva?).
E’ chiaro che nella stanza dei bottoni qualcuno comanda più degli altri e ha fatto di tutto perché il destino della Grecia rimanesse fino all’ultimo istante appeso a un filo. La richiesta di un nuovo patto di stabilità associata a quella di vero governo economico europeo è tanto giusta, quanto ingenua: ci potrebbero volere anni.
Nel frattempo, che si fa? Lasciamo che decida il mercato. Che è quello di prima, con le persone di prima.
Possiamo stare tranquilli.

PS: i draghi, per fortuna, hanno ancora le ali.